Pandemia e burnout
Era il 31 dicembre 2019 quando il governo di Wuhan confermava che i medici degli ospedali stavano curando decine di casi di polmonite. Allora nessuno poteva prevedere che quella malattia si sarebbe trasformata in qualcosa di molto più grave, scatenando la più grande patologia infettiva dai tempi della pandemia influenzale del 1918-19.
Quali sono le conseguenze della pandemia sulla salute mentale?
Questa pandemia ha cambiato profondamente la nostra vita, il nostro rapporto con gli altri e con le cose. Abbiamo dovuto rivedere le categorie di “sano” e “malato” prendendo atto che esistono tante situazioni intermedie e tanti modi per declinare questi concetti.
Tra la salute e la malattia in senso stretto c’è una vasta zona che, avvicinandosi al polo della “patologia”, si caratterizza per chiare situazioni di disagio e sofferenza. Questo malessere, non definibile in termini medici come malattia, rappresenta però un’area di vulnerabilità che riduce la resistenza individuale.
La diffusione della malattia ha generato paura ed incertezza che, a loro volta, hanno lentamente eroso la gioia di vivere e la nostra abituale capacità di proiettarci nel futuro. A qualcuno è capitato di diventare indifferente verso la propria indifferenza ignorando il proprio malessere che invece si sarebbe giovato di un confronto con una persona competente (psicologo e/o psichiatra).
Da molti anni la ricerca scientifica si occupa di questo disagio psicologico che è stato inserito sotto le categorie di “distress”, “disturbi da stress”, “bornout” ed è stato visto come la conseguenza di questa condizione che, se protratta nel tempo, può avere influenze molto significative sulla salute psichica, su quella fisica e sui diversi ambiti della vita (famiglia, relazioni, lavoro, stili di vita) di tutti gli esseri umani.
Quali sono le categorie professionali più colpite?
Durante la pandemia da Covid-19 molte categorie professionali, soprattutto quelle più impegnate in ambito sociale (medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti, operatrici delle scuole dell’infanzia etc.), hanno dovuto sperimentare un incremento esponenziale della tensione legata alle condizioni di pericolo e di affaticamento che, per obblighi professionali, dovevano affrontare con grandi livelli di rischio per la propria (e dei propri familiari) salute fisica e mentale.
Conseguenze documentate e importanti che hanno spinto l’OMS e le Agenzie internazionali a raccomandare azioni e strategie, individuali e collettive, per aiutare le persone ad uscire da questa condizione.
Quali strategie si possono adottare per riconoscere lo stress e prevenire il burnout?
E’ necessario contribuire alla diffusione di un’informazione adeguata, corretta e scientifica che abbia come obiettivo prioritario l’individuazione delle situazioni di malessere e la prevenzione in merito alle condotte ed agli stili di vita legati a varie forme di sofferenza che possono determinare disaffezione dal lavoro e demotivazione. E’ altresì necessario che le istituzioni e le organizzazioni lavorative individuino strategie idonee a prevenire la sofferenza prima che questa dia adito a sintomi veri e propri mettendo sotto osservazione quei comportamenti e quelle modalità relazionali che pur non essendo ancora francamente “malati” possono essere considerati “disfunzionali” ovverosia indicativi di una difficoltà a conservare ed esprimere la naturale socialità umana. E’ necessario fornire alle categorie più esposte un ventaglio di opzioni per promuovere le relazioni tra pari e l’organizzazione del lavoro oltre a garantire un ventaglio di interventi supportivi: meeting mensili coordinati da psicologi e/o psichiatri centrati sui contenuti proposti dai partecipanti spesso legati ad incomprensioni tra colleghi. Questi incontri devono essere finalizzati a favorire la comunicazione all’interno dei gruppi di lavoro, migliorare la propria soddisfazione lavorativa, le proprie motivazioni, ma anche affrontare la qualità delle relazioni extralavorative negli ambiti sociali e familiari.
Star male nella pandemia è una condizione diffusa e praticamente “normale” dal punto di vista statistico: ciò non vuol dire che sia ininfluente e neanche ineluttabile, ingestibile o irrisolvibile.
Dr. Paolo Fiori Nastro, psichiatra e psicoterapeuta, Coordinatore didattico Scuola Bios Psychè